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Le Piccole Comunità di Fede e Testimonianza sono gruppi di persone che si riuniscono non per esprimere un carisma particolare, ma per essere e divenire «chiesa» e «chiesa domestica». Essi si radunano nelle case e sono costituiti da poche persone, in modo da permettere autentici rapporti interpersonali nella fede. In essi ogni battezzato, così come ogni famiglia, può vivere e sperimentare la dimensione comunitaria della chiesa nella grande comunità parrocchiale.

Scopri le Piccole Comunità di Fede e Testimonianza

La vita parrocchiale spesso richiede forme di aggregazione nel suo interno perché la gente possa realizzare il senso della comunità in un sistema di relazioni semplici. Gruppi spontanei, aggregazioni laicali, gruppi finalizzati al raggiungimento di un obiettivo (catechesi, giornalino, gemellaggio missionario…).

Ci sembra opportuno richiamare, le motivazioni che li sostengono e li giustificano, i modi per suscitarli e promuoverli, il cammino per la loro maturazione, il metodo (o schema) dei loro incontri e la conduzione e animazione degli incontri stessi.

Ognuno di questi piccoli gruppi, nel contesto del cammino più ampio della parrocchia,

va inteso come un gruppo di adulti, a dimensione umana per numero di membri, che esprime le diversità sociali (di sesso, età, cultura, condizioni…) ed ecclesiali (di doni, carismi e ministeri) e che, in quanto gruppo, vuol percorrere un cammino che lo porti a diventare una comunità di fede, di testimonianza, di culto e vita cristiana, di servizio e missione.

È in tale ambito, il più vicino alla realizzazione di ognuno come persona e a servizio dell’evangelizzazione dell’ambiente (vicinato, territorio, attività lavorativa), che si concentra e si esprime la chiesa.

Si tratta di gruppi di persone che si riuniscono non per esprimere un carisma particolare, ma per essere e divenire «chiesa» e «chiesa domestica». Essi si radunano nelle case e sono costituiti da poche persone, in modo da permettere autentici rapporti interpersonali nella fede. In essi ogni battezzato, così come ogni famiglia, può vivere e sperimentare la dimensione comunitaria della chiesa nella grande comunità parrocchiale.

In tali piccole comunità di fede e di testimonianza, all’interno della parrocchia, promoviamo l’approfondimento dei contenuti di un cammino di catecumenato e di evangelizzazione, illuminati dalla Parola di Dio e dal Magistero della Chiesa che si sperimenta con tutto il popolo di Dio. In questo modo ci proponiamo, non di avere dei gruppi all’interno della parrocchia, né di operare un decentramento di essa nei piccoli gruppi, ma di promuovere un dinamismo di crescita globale in cui costruire vari spazi di maturazione della fede in base sia alla comunità di appartenenza (famiglia, territorio), sia alle esigenze per le varie attività (gruppi settoriali, servizi religiosi, necessità materiali e spirituali), come abbiamo iniziato con i Missionari del Territorio.

 

IL PERCHÉ DELLE PICCOLE COMUNITÀ

Le ragioni sono molteplici e allo stesso tempo riconducibili alla natura stessa della chiesa che, essendo una comunità di fede, speranza e carità, si esprime visibilmente in un corpo sociale, articolato in tante comunità quante sono necessarie perché ogni battezzato possa sentirsi parte di essa, possa assumere il proprio ruolo – profetico, sacerdotale, regale – e vivere il dono di sé per il bene di tutto il corpo, che è la chiesa, e per il regno di Dio. Tra le diverse forme di comunità ecclesiali hanno un’importanza particolare quelle che esprimono la chiesa come integrazione delle diversità sociali ed ecclesiali nell’unità.

Elenchiamo perciò un insieme di motivazioni che possono facilitare coloro che debbono dar ragione della costituzione delle piccole comunità.

Dalla storia della chiesa

Lungo tutti i tempi e in tutte le culture, la chiesa ha cercato di formare alla base della sua organizzazione, sia come spazio di appartenenza, sia soprattutto come ambito di esperienza di fede, piccole comunità a dimensione umana.

Possiamo ricordarne alcune:

  •     le primitive comunità cristiane degli Atti degli Apostoli e delle lettere paoline, che si radunavano nelle case di famiglie determinate;
  •     le comunità in tempo di persecuzione che si radunavano nelle catacombe appartenenti ad alcune famiglie;
  •     le comunità dei piccoli villaggi al tempo di Costantino che si chiamavano «parrocchie» ed erano di dimensioni molto piccole, per niente paragonabili alle attuali, tanto per estensione geografica quanto per il numero dei componenti;
  •     le corporazioni del Medioevo che radunavano la gente secondo le professioni;
  •     le confraternite del Rinascimento, legate generalmente alla devozione a un santo e alla cappella corrispondente, e a un’opera pia o di carità;
  •     le associazioni del tempo moderno e, nella campagna, la famiglia patriarcale che, oltre ad avere funzioni economiche, politiche e di assistenza sociale, era allo stesso tempo uno spazio di preghiera e di comunicazione della fede; spazio che con la rivoluzione industriale e l’urbanesimo venne a mancare.

Dalla storia attuale

  • da un regime feudale, monarchico, autoritario e verticista, a un altro tendenzialmente democratico, partecipativo, egualitario e pluralista;
  • da una struttura agraria a una industriale e tecnica;
  • da una società sostanzialmente statica a una spiccatamente dinamica, caratterizzata cioè da cambiamenti rapidi, universali e permanenti;
  • da una famiglia patriarcale a una nucleare;
  • da gruppi umani (paesi e regioni) isolati a un’umanità interdipendente e intercomunicante.

La chiesa deve vivere la sua fedeltà alla fede in questa nuova situazione, creando gruppi dove il dialogo, la partecipazione, la fraternità, tratti della sensibilità dell’uomo d’oggi, siano possibili.

Dall’antropologia

L’uomo si realizza come persona con altri e per gli altri, e nella misura che viene accettato come tale; non si è persona finché si è inseriti in una «massa» anonima.

La chiesa sa per fede che ogni persona è chiamata a essere figlia di Dio; deve quindi creare delle realtà che permettano a ogni persona di diventare ed esprimersi come tale, in un rapporto autentico di fraternità, a servizio dei fratelli.

Dalla psicologia

La persona cresce verso la maturità quando stabilisce rapporti interpersonali autentici che le permettano di sviluppare le sue possibilità e di superare i limiti, le lacune e i blocchi; questi possono essere risolti soltanto in un gruppo che venga incontro alle sue necessità.

La chiesa sa per fede che ogni uomo è chiamato alla perfezione della carità; deve creare quindi gli spazi nei quali il cristiano possa vivere e crescere nella fraternità, rispondendo così al bisogno fondamentale che ha ogni persona, di trascendere cioè se stessa.

Dalla sociologia

Le strutture di un gruppo associato devono tener conto della nuova situazione storica. Questa esige che si strutturi la partecipazione nella elaborazione, nella decisione e nell’attuazione organica di quanto la comunità è chiamata a vivere e a fare. Solo così le persone diventano agenti del proprio destino e vengono difese da ogni forma di emargi­nazione e di strumentalizzazione.

La chiesa riconosce a tutti i cristiani l’uguaglianza nella dignità di figli di Dio e la partecipazione alle funzioni – profetica, sacerdotale e regale – di Cristo; deve quindi creare strutture personalizzate e personalizzanti, che rendano ve­ra tale realtà.

Dalla teologia

La chiesa nel Concilio si è riscoperta come:

  • comunità di fede, speranza e carità;
  • comunità gerarchica, con ministeri e servizi diversi;
  • comunità depositaria di un’unica missione: annunciare e promuovere la salvezza (o liberazione) di tutto l’uomo e di tutti gli uomini in Cristo.

La chiesa, corpo di Cristo e popolo di Dio, è chiamata a essere un segno efficace della comunione con Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. In questo la chiesa fonda il suo rinnovamento. «Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri come Io ho amato voi. Se siete uno, come Io e il Padre siamo uno, il mondo si convertirà» (cfr Gv 13,34-35; 10,30).

Tutto ciò è possibile se esistono comunità di dimensioni umane nelle quali si viva un rapporto interpersonale di fede, altrimenti non si supera l’anonimato e la comunità ecclesiale, alle istanze superiori, viene ridotta ai «privilegiati», alle «élites», a scapito di un popolo a cui non si riconoscono, di fatto, i diritti fondamentali che Dio gli ha dato col Battesimo.

Dalla pastorale

Nella prospettiva dell’agire, è auspicabile creare tante comunità a misura d’uomo quante sono necessarie perché i battezzati possano partecipare e condividere la medesima fede. Comunità nelle quali si possano soddisfare le esigenze elencate. Comunità intese non come suppletive di altre realtà né accanto ad esse, ma come espressione del popolo di Dio che vive in un territorio parrocchiale e nelle quali si integrano le diversità ambientali ed ecclesiali.

Comunità, quindi:

  • di fede (che interpretano la vita secondo la fede)
  • di testimonianza (che sappiano incidere nella vita dei fratelli)
  • di culto e vita cristiana (che fanno della vita un sacrificio spirituale)
  • di servizio e missione, sia nell’ambiente sociale, sia nella chiesa e per il mondo, fino agli estremi confini della terra.

 

COME SUSCITARE E PROMUOVERE LE PCFT

Innanzitutto sottolineo che le piccole comunità sono da intendere non solo come mezzo di decentramento parrocchiale, né solo come centri di animazione ambientale e neppure come realtà isolate l’una dall’altra, ma come dinamismo di crescita di un popolo di Dio che, a un certo momento, esige spazi personalizzati di approfondimento della fede, nel confronto vita-Vangelo.

Esse sono promosse perciò come un fenomeno di popolo; non una dopo l’altra, ma tutte insieme. Si evitano in tal modo contrapposizioni e competitività tra comunità e comunità, e tra queste e la parrocchia. Infatti, nel suscitarle tutte insieme e come espressione di popolo, si crea un fatto popolare non elitario e un modo di essere parrocchia, per cui appartenere a una piccola comunità non è altro che appartenere alla parrocchia, intesa come popolo in cammino. In questo modo si risolve fin dall’inizio anche il problema del coordinamento delle piccole comunità, sia nei loro rapporti reciproci, sia riguardo ai temi di riflessione.

 

RUOLO DEGLI ANIMATORI E DEI COORDINATORI DI GRUPPO

Il ruolo dell’animatore (o moderatore) è legato agli incontri mensili ed è quello di moderare il gruppo durante le riunioni. Diamo ora un «decalogo» sui compiti del moderatore:

  1. Da te e dal coordinatore dipendono la vita e la crescita del gruppo. Ma il gruppo non è tua proprietà. Esso appartiene a Dio. Fa’ del gruppo oggetto di preghiera. Agisci in tutto d’accordo con l’animatore.
  2. Aiuta e orienta la gente a scoprire la parola di Dio per la sua vita. Non è necessario che tu sappia rispondere a tutto, ma ognuno deve trovare in te un amico fidato.
  3. Partecipa con responsabilità alle riunioni degli animatori per preparare gli incontri mensili dei gruppi.
  4. Per gli incontri di gruppo devi prepararti con molta serietà: leggi varie volte il testo dello schema; prevedi delle domande alternative; considera bene le persone e vedi se sia opportuno fare altre domande; prega e domandati come Gesù guiderebbe l’incontro.
  5. Durante l’incontro: da’ la parola alla famiglia che ospita il gruppo perché rivolga un saluto a tutti; a tempo opportuno passa da una domanda ad un’altra;  fa’ leggere le introduzioni, le domande, il testo biblico e le preghiere a delle persone diverse, che lo accettino volentieri; fa’ sì che tutti abbiano l’opportunità di parlare e di esprimersi; sta’ attento che nessuno monopolizzi la riunione parlando troppo a lungo o che due si mettano a discutere tra loro; insegna ad ascoltarsi gli uni gli altri; sii amabile e fa’ sì che tutti si sentano a loro agio.
  6. Se il tema risulta interessante e si prolunga la discussione, non angosciarti. Invita, discretamente, a completare il tema in una riunione straordinaria. Se questo non è possibile, invita a essere più concisi nel parlare.
  7. Per animare l’incontro puoi sollecitare qualcuno perché faccia cantare all’inizio e alla fine.
  8. Tieni conto che non esistono risposte prefabbricate alle domande che si pongono. Dio offre degli indirizzi, ma ha affidato a ciascuno la responsabilità della sua vita. Insie­me dobbiamo cercare, ma ognuno è chiamato a mettersi sulla «via» che è Cristo e che ci guiderà verso il Padre.
  9. Fuori dall’incontro sii sempre disponibile ad ascoltare e a incoraggiare. Non farti eco di critiche o maldicenze. Aiuta ognuno, con discrezione, a trovare ciò che Dio gli chiede, e a farlo.
  10. Quando dai tuoi contatti con la gente e negli incontri ti sembra che bisognerebbe approfondire un determinato argomento, proponilo al coordinatore e ai responsabili dei piccoli gruppi o al parroco. Se ne vedi l’opportunità, pro­muovi un incontro straordinario con qualcuno che possa trattare il tema con profondità e competenza.

Il ruolo del coordinatore (o capogruppo) è quello di servire alla crescita del gruppo, fuori degli incontri, sia per ciò che riguarda i rapporti di fraternità fra tutti i componenti, sia per quanto si riferisce all’impegno nell’ambiente o nel territorio. Ecco un «decalogo» sui compiti dell’animatore:

  1. Da te e dall’animatore dipende la vita e la crescita del gruppo, ma il   gruppo non è tua proprietà. Esso appartiene a Dio. Fa’ del gruppo oggetto di preghiera. Agisci in tutto d’accordo con l’animatore.
  2. Aiuta e orienta la gente a scoprire la fraternità e a viverla nei rapporti vicendevoli. Non è necessario che tu sappia rispondere a tutti i problemi     delle persone e dei rapporti tra i membri del gruppo; ma ognuno deve      trovare in te un amico fidato.
  3. Partecipa con responsabilità alle riunioni degli animatori e dei coordinatori per valutare l’andamento e la crescita dei gruppi.
  4. In rapporto agli incontri: ricorda, personalmente e in tempo, l’incontro alle famiglie del gruppo; aiutale a superare le difficoltà di parteciparvi; comunica al parroco la data e il luogo dell’incontro del gruppo; per quanto è possibile, vedi di fissare già nel primo incontro le date di tutti gli altri o, per lo meno, in ogni incontro quella del successivo.
  5. Sta’ attento alle ricorrenze più significative delle persone e delle famiglie (compleanni, anniversari, nascite, ma­trimoni…) e, secondo il caso,    promuovi incontri di frater­nità; è tuo compito infatti costruire la    fraternità del gruppo.
  6. Sta’ attento alle necessità e ai bisogni sia dei membri e delle famiglie del gruppo, sia delle persone e delle fami­glie del vicinato, e suscita e organizza l’aiuto fraterno tra tutti, e del gruppo verso gli altri; impégnati            a costruire la fraternità nel vicinato.
  7. Se credi che ci siano problemi nel territorio che richiedono una presa di posizione, d’accordo col gruppo proponi al parroco quanto credi      opportuno, almeno perché ciò venga trattato nella riunione degli     animatori; impégnati a costruire la fraternità nel territorio.
  8. Abbi un’attenzione particolare per i sofferenti e le persone sole, e coinvolgi il gruppo e i suoi membri a farsi loro presenti e anche        «compagni».
  9. Ogni anno promuovi la celebrazione dell’anniversario della nascita del gruppo, eventualmente insieme ad altri gruppi della parrocchia.        Organizza qualche gita, dei pellegrinaggi e delle iniziative analoghe.
  10.  Sii sempre disponibile ad ascoltare e incoraggiare. Non farti eco di critiche o maldicenze. Aiuta ognuno, con di­screzione, a trovare ciò che Dio gli chiede, e a farlo.

Gli animatori e i coordinatori si riuniscono ogni mese. Dopo aver valutato l’incontro dei gruppi del mese precedente e l’andamento della loro vita fuori dell’incontro, è conveniente che proseguano separatamente:

  • gli animatori, per prepararsi ad animare il prossimo in­contro;
  •  i coordinatori, per studiare i modi migliori per promuovere il gruppo nella fraternità e nell’impegno, all’interno e all’esterno del gruppo.

Gli elementi di dinamica di gruppo possono essere utili all’abilitazione degli animatori e dei moderatori. Ne ricordiamo alcuni:

  • la distinzione tra una conduzione democratica, una lassista e una direttiva;
  • le caratteristiche di un gruppo maturo e di uno immaturo;
  • il modo di analizzare la partecipazione nel gruppo;
  • le tecniche per facilitare la partecipazione e il dialogo;
  • le forme di preghiera, alternative a quella proposta;
  • il modo elementare di fare un programma;
  • le forme di dialogo nella fede;
  • le tecniche per lavorare con gruppi grandi.